N°143 Settembre Ottobre

54 Food&Beverage |settembre-ottobre 2022 Elena Bianco ALTO ADIGE Chris Oberhammer lo chef che cucina da solo Al Tilia, nel parco dell’ex Grand hotel Dobbiaco, il patron è il protagonista di un one man show che lo vede da solo ai fornelli. Una scelta che risponde a un’esigenza profonda, quasi un’attività meditativa che gli dona benessere Profondamente legato al territorio, Chris Oberhammer, chef patron del Tilia, per festeggiare i 12 anni di attività si è inventato il Monslive Tour, un giro a piedi insieme all’ex maratoneta Gianni Poli da Dobbiaco a Gardone Riviera per raccontare il territorio, visitare piccoli produttori e la sera, dopo circa 40 chilometri di cammino, cucinare con i colleghi che l’hanno ospitato Sembrauna favolanordica. Si varcaun cancelloe si viene sovrastati dallamole imponente dell’ex Grand hotel Dobbiaco. Ex albergo asburgico, oggi centro culturale e sala concerto, è nato a fine ottocento insieme alla linea ferroviaria Lienz-Fortezza, che di fatto diede il via al turismo in Alto Adige. Ci si trova immersi nel mondo tirolese che il grande edificio evoca, con i suoi erker aggettanti (gli spazi che proiettano all’esterno di un edificio alcune finestre, ndr) le verande e i balconi di legno colorato. D’inverno, quando già le ombre avvolgono l’immenso piazzale antistante, appare una sorta di gemma brillante, simile a uno smeraldo che galleggi come per incanto fra il lucore della neve. Il Tilia dello chef Chris Oberhammer è un fantasy. Appena si varca la soglia di quella che sembra una geometria futuribile, si entra in un microcosmo riumanizzato: tre tavoli, atmosfera ovattata, tante piante che verdeggiano nella penombra. La sensazione di relax è immediata, come quando ci si accomoda all’ombra di un tiglio, l’albero di cui il locale prende il nome latino: entrare al Tilia è una passeggiata unter den linden. Sedersi poi è una promessa mantenuta. Perché il sorriso e la gentilezza delle figure leggiadre e discrete che accompagnano in sala, in primis Anita Mancini, maître, sommelier di razza e consorte di Oberhammer, aleggia lungo questo sentiero alpino-gastronomico. Lo stesso Chris sembra uscito da un fantasy, un po’ un duro un po’ un elfo, con lo sguardo e il sorriso di un bambino. Da lui l’esperienza non è completa se dopo cena non ci si ferma per parlare, per sentirlo raccontare e per raccontargli. Che cosa? Non una saputa disamina dei suoi piatti, bensì le sensazioni e le emozioni che hanno suscitato. Allora si vedrà questo altoatesino abituato alle montagne illuminarsi, perché parlare a cuore aperto con l’ospite è il giusto epilogo del suo assolo. È il caso di dirlo, dato che Oberhammer è un raro (forse unico) esempio di one man show in campo di fine dining. In cucina c’è solo lui che, come un padrone di casa, prepara la cena per i suoi ospiti: “Da solo tutto mi risulta più facile -spiega- Così sono libero di gestire i prodotti a mia disposizione, anche di cambiare qualcosa in corsa. Perché la mia cucina non è legata a un menu pianificato, ma dipende da tante variabili: dall’ospite che verrà e che spesso è un repeater, dalla stagione, da quello che hanno a disposizione i contadini con cui lavoro. Perché sovente quello che servo a pranzo la mattina è ancora piantato nel terreno”. Una scelta che per alcuni versi appare impegnativa: tutto quello che esce è merito o demerito suo, senza possibilità di appello. Ma è anche un gesto liberatorio dallo stress che la gestione di una brigata può causare, fra dover insegnare un metodo e poi vedere alcuni andarsene. Soprattutto, nel caso di Oberhammer, essere solo sembra rispondere a una esigenza profonda, quasi un’attività meditativa che gli regala benessere interiore. Non una novità in assoluto, se si pensa che nel XIII secolo Dogen Zenji, fondatore della scuola zen soto in Giappone, scrisse un libro che s’intitolava Istruzioni a un cuoco zen. Ovvero come ottenere l’illuminazione in cucina. C’è qualcosa di intimo e introspettivo in un uomo intento a cucinare da solo e ciò che ne deriva è una sorta di legame karmico che unisce il produttore, il trasformatore-chef e il destinatario del piatto. Si sente questo fil rouge nella Polenta, uovo in camicia, spuma di Puschtra Graukäse, piatto geolocalizzato nella valle Pusteria dove lo chef vive, dove va a correre di mattina, dove va quotidianamente a trovare i contadini con cui scambia suggerimenti, consigli, saggezza antica. Allo stessomodo l’agnello nostrano Verdure Crema di patate fa entrare attraverso il più evocativo dei sensi, il gusto, in questo piccolo mondo incontaminato e semplice. Ciò avviene perché l’insieme ha il sapore di casa, anche per chi non è di questi luoghi. Questo non significa minimamente cucinare con orizzonti limitati. Chris infatti ha collezionato esperienze importanti, di quelle che aprono la testa di un aspirante chef, alla Maison du Bouef a Bruxelles, da Alain Ducasse al Louis XV a Montecarlo. Significa solo che nella sua cucina anche gli ingredienti d’altri luoghi, come il caviale Beluga o d’altre acque che non siano quelle

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