N°138 Novembre

3 Food&Beverage | novembre 2021 EDITORIALE Barbara Amati amati@foodandbev.it i Quando manca il personale... Alessandro Borghese è un personaggio televisivo e uno chef. La notorietà acquisita con i suoi programmi non lo esenta però dal vivere gli stessi problemi dei suoi colleghi, in particolare quello del personale. Lo sappiamo, non è da oggi che l’horeca fatica a trovare dipendenti preparati, ognuno dei protagonisti di questo mondo ha nel suo bagaglio decine di aneddoti su curricula improbabili o persone che spacciavano competenze svanite al momento di entrare in cucina. Ma oggi, dopo i mesi difficili della fase acuta della pandemia, qualcosa sembra cambiato. Il primo segnale è arrivato dagli Stati Uniti dove si parla di great resignation, un’ondata di dimissioni dal proprio posto di lavoro non per avere maggiori opportunità di guadagno e professionali, ma come risposta al disagio pandemico, al burn out patito durante il lockdown, paura del contagio, desiderio di stare vicino alle famiglie di origine e di vivere in luoghi più sani. La tendenza è arrivata anche in Italia dove sono state quasi 500 mila le dimissioni tra aprile e giugno di quest’anno e in Veneto il trend prosegue. L’horeca e la ristorazione in particolare ne sono colpiti, come testimonia l’intervento di Borghese che racconta come prima del Covid riusciva a non chiudere mai il suo locale. Oggi non più, perché manca il personale. D’altronde lo afferma anche la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) che stima 120 mila persone che hanno abbandonato il settore durante la pandemia e non sono rientrate. Borghese dice cose interessanti: “Oggi è cambiata la mentalità: chi si affaccia alla professione vuole garanzie. Stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita. In cambio del sacrificio del tempo i giovani chiedono certezze e gratificazioni. In effetti, prima questo mestiere era sottopagato: oggi i ragazzi non lo accettano”. Attenzione, qui non è il solito lamento del tipo offro 3 mila euro e non trovo nessuno perché i giovani non vogliono lavorare e c’è il reddito di cittadinanza. Borghese parla di un cambio di mentalità, di persone che hanno perso la sicurezza di un lavoro, che hanno patito molto durante il lockdown e che probabilmente in quel periodo sono tornati in famiglia, magari in un’altra parte del Paese, e hanno capito che non valeva la pena di sostenere una certa vita come prima. “Bisogna lavorare in modo diverso”, dice lo chef che oggi riesce ad aprire cinque giorni su sette e non sette su sette come prima, ma il suo obiettivo è arrivare a sei su sette perché ha compreso che un giorno di riposo è necessario. “Sono andate via figure che stavano con me da più di dieci anni, sono tornate nelle regioni di origine dove hanno scelto un lavoro che richiedesse meno fatica, psicologica, mentale e fisica”. Il problema riguarda anche gli chef. Franco Aliberti ha lasciato dopo pochi mesi il ristorante Anima di Enrico Bartolini lasciando un messaggio d’addio che recita: “La vita è come un libro, io ho deciso di scrivere il mio di capitolo, dal titolo Famiglia”. Tutti fannulloni? Oppure ha ragione Borghese e in molti stanno riconsiderando la propria vita e soprattutto i giovani vogliono dare, ma anche ricevere, e quell’espressione “percorsi di crescita” spiega molto. Se però la visione dello chef della trasmissione 4 ristoranti è corretta, allora bisogna farsi qualche domanda a livello di settore e affrontare un problema che riguarda sala e cucina e che rischia di minare le basi della ripresa. Quello nei ristoranti è un lavoro che chiede molto e adesso sembra che qualcuno voglia di più. In un’intervista lo chef Alessandro Borghese lamenta la mancanza di personale. Perché dopo i mesi del lockdown in molti sembrano avere fatto scelte di vita diverse. Succede anche negli Usa

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