N°145 Dicembre

76 Food&Beverage | dicembre 2022 L’ex cibo povero vanta un’altissima efficienza idrica e assorbe grandi quantità di anidride carbonica. E si propone con differenti utilizzi Rossella Cerulli Il ficodindia Etna Dop frutto del futuro PRODOTTI È il simbolo del nostro sud più profondo, siccitoso, aspro e a volte desolato. Eppure per il ficodindia, l’Opuntia Ficus-indica è giunto il momento della riscossa. Insieme a un roseo futuro da superfood. Visto che non solo i frutti ma anche le foglie, i cladodi (le cosiddette pale) sono un vero concentrato di nutrienti e vitamine. Lungi dall’essere solo una pianta selvatica, utile per separare le proprietà terriere, il ficodindia, unico cactus commestibile, non a caso è stato di recente definito dalla Fao “il frutto del futuro”: in quanto in grado di sopportare, grazie alla sua frugalità e resistenza, la sferza dei cambiamenti climatici. E di garantire, in situazioni estreme, un’alimentazione sana e mangimi di qualità per la zootecnia. Visto che è una pianta a grandissima efficienza idrica (rispetto ad altre colture richiede l‘80% di acqua in meno), difende i terreni dalla desertificazione e assorbe tantissima anidride carbonica, cinque tonnellate per ettaro, uno dei valori più alti in assoluto. “Va detto: basta considerare il ficodindia come il cibo dei poveri, frutto di piante allo stato brado da non coltivare -spiega Sarah Bua, communication manager di La Deliziosa, organizzazione di produttori specializzata nella produzione di eccellenze siciliane Igp e Dop- Per ottenere prodotti di qualità come il nostro ficodindia dell’Etna Dop occorrono addetti preparati nelle varie fasi di coltivazione, dalle potature tecniche al diradamento dei frutti, fino alla raccolta. Fase, questa, delicatissima, da eseguire con grande manualità e opportuno equipaggiamento per difendersi dalle spine. Anche gli impianti nel tempo vanno rinnovati: dopo 15 anni la pianta si ingrandisce troppo e produce frutti di minor valore”. Ma si fa presto a dire ficodindia, visto che ne esistono tre varietà. C’è la Sulfarina, dalla polpa gialla, dolce e succulenta, riconoscibile dalla buccia bionda screziata di verde. E poi la popolarissima Sanguigna, dall’intenso color rubino, zuccherina, succosa e con pochi semi. Ma anche la Muscaredda, dalla polpa croccante verde chiaro, quasi bianca, dal sapore delicato, indicatissima per chi non ama la frutta troppo sweet. Varietà che vengono raccolte da agosto a novembre, mese quest’ultimo in cui, grazie a una precedente scozzolatura dei piccoli esemplari primaverili, si ottengono i tardivi (e sostanziosi) bastardoni. Velocissimo l’iter di lavorazione, perché non oltre le 48 ore dalla raccolta i frutti vengono avviati alla spedizione. Rimane un dilemma atavico: quello delle spine. “Anche questo è un problema ormai ridimensionato -precisa Bua- I frutti raccolti vengono infatti avviati a una spazzolatura meccanica a secco che le rimuove completamente. Ed è l’unico trattamento che facciamo: perché noi ai nostri frutti non aggiungiamo niente”. Utilizzato da sempre per preparare mostarde e granite, il ficodindia (composto per l’80% da acqua e ricchissimo di vitamine A, B e C, e di minerali come ferro, potassio, magnesio e calcio) si presta a infinite preparazioni, sia come aperitivo condito con limone, pepe nero e menta, sia sotto forma di risotto. E, siccome (come per il maiale) di questo frutto non si butta via nulla, ecco planare Il ficodindia, unico cactus commestibile, grazie alla sua frugalità e resistenza è in grado di sopportare meglio di altre specie i problemi che derivano dal cambiamento climatico difendendo i terreni dalla desertificazione. Per coltivarlo, però, necessita di personale preparato nelle varie operazioni, dalle potature tecniche al diradamento fino alla raccolta. In alto, il riso al ficodindia realizzato dagli studenti dell’Ipssat Rocco Chinnici di Nicolosi

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