N°142 Giugno Luglio

82 Food&Beverage |giugno-luglio 2022 Se si incoronasse il Re Pomodoro sarebbe il San Marzano, il pomodoro dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop a buccia sottile e sapore intenso, per antonomasia usato nel ragù e nella pizza. Ha il “pizzo”, cioè la forma allungata che finisce a punta, come anche il Pizzuttello della zona vesuviana, della Calabria e della Val d’Erice, dove è utilizzato per il pesto alla trapanese. La Campania vanta poi un’altra eccellenza, il Piennolo, che in grappoli rosso fuoco (o giallo oro nel caso del pomodorino cilentano), decora i muri delle case e matura lentamente grazie alla buccia coriacea che racchiude una polpa soda, imperdibile per le insalate o sulle focacce. Stessa forma e utilizzo, cambio di regione: il Pachino siciliano è succoso e dolce. Una vera rarità, protetta da Slow Food, arriva dalla Puglia: è il Fiaschetto di Torre Guaceta, delizia nella pasta coi pomodorini. Per apprezzare in pieno il profumo del pomodoro maturo, il massimo è il Costoluto toscano, re della pappa col pomodoro: in versione a forma di canestro è diventato presidio Slow Food in Lucchesia. Il vero gigante della specie è, però, il Cuore di Bue, coltivato dalla Liguria all’Abruzzo, perfetto sia per le passate, sia da insalata, sia da mordere come una mela. Cambiando colore e regione, il Camone sardo va dal rosso al verde scuro al marrone, è duro, croccante, dolce e acido insieme, mentre la Verneteca Sannita ha la forma di un ciliegino ma è giallo oro e si mangia fino all’inverno, magari con una tartare di pesce, connubio che esalta la sua dolcezza. E pensare che il tomato era solo rosso e piccolino quando arrivò dal Nuovo Mondo nel 1540 insieme agli ori razziati agli Aztechi dal condottiero spagnolo Hernan Cortez. Grazie al suo colore squillante, venne così considerato pomme d’amour, pianta ornamentale e dono romantico per le giovani dame. Inutile dire che l’Italia fu il primo Paese europeo, dopo la Spagna di Cortez, a conoscerlo, grazie agli stretti rapporti esistenti tra i Borbone e le famiglie regnanti dell’epoca. Nella Sicilia dei monsù si chiamava Pumurammuri, dal francese Pomme d’amour; in Sardegna, possedimento spagnolo fino al 1720, si usava il termine iberico Tomate; nel sud Italia si chiamò Pomo d’oro, modificato in Pommarola a Napoli. La storia ufficiale del pomodoro in Italia inizia nel 1548 a Pisa quando Cosimo de’ Medici ricevette dalla tenuta fiorentina di Torre del Gallo un cesto di pomodori nati da semi donati alla moglie, Eleonora di Toledo, dal padre, Viceré del Regno di Napoli. Facile da coltivare nel clima mediterraneo dove si ottennero frutti più grossi e saporiti, furono le classi popolari le prime a mangiarlo fritto nell’olio come le melanzane e i funghi, mentre, ancora alla metà del ’600, sulle tavole dei ricchi compariva soltanto come elemento di decoro. I siciliani lo lavorarono con basilico, aglio, olio di oliva e formaggio nei primi sughi e passate; per la prima volta compare ne Lo scalco alla moderna di Antonio Latini (1692/4), in uno stufato di verdure. Dopo la metà del Settecento nasceranno le prime industrie conserviere napoletane, e il gastronomo Vincenzo Corrado lo propose subito ne Il cuoco galante in ben tredici ricette abbinate a carni e a carboidrati (pane, pizza, pasta). L’autentica rivoluzione avviene, però, nell’Ottocento, quando il pomodoro stravolge gli usi, il gusto, le ricette, grazie all’imprescindibile matrimonio con la pasta, celebrato nei “vermicelli con le pommadoro”, opera del duca Ippolito Cavalcanti. Colore rosso intenso, spiccata acidità, sapore peculiare, fecero della salsa di pomodoro un’eccellenza della gastronomia internazionale, apprezzata anche da Escoffier nel suo libro Ma Cuisine e protagonista delle ricette di mezzo mondo, anche in mixology, dal semplice Parte da lì la rivoluzione che fa del San Marzano e delle altre tipologie un protagonista della tavola. Caterina Ceraudo ne sfrutta l’acidità e Gaetano Verde si affida alla scienza Elena Bianco Quel giorno in cui il pomodoro scoprì la pasta SFIZIOFOOD Il pomodoro arriva dal Nuovo Mondo nel 1540, ma viene considerato una pianta ornamentale e dono per le giovani dame. In pochi anni, però, giunge in tavola grazie soprattutto alle classi popolari che gli riservano lo stesso destino delle melanzane e dei funghi: fritto nell’olio

RkJQdWJsaXNoZXIy NTUwOQ==