N°142 Giugno Luglio

50 Food&Beverage |giugno-luglio 2022 Rossella Cerulli AGRICOLTURA Con Pastalive l’aratro rispetta il terreno Una pasta di grano duro coltivato in modo da non arrecare danno ai terreni coltivati azzerandone fertilità e biodiversità. Tredici formati per un mercato di nicchia e con tre chef come testimonial La questione non è all’ordine del giorno nelle agende dei governi, ma incombe sui raccolti che verranno. Visto che lo sfruttamento del suolo è la minaccia del futuro prossimo venturo: non a caso a livello mondiale la Fao stima ancora sessanta raccolti prima della completa improduttività del suolo agrario. A esaurire i terreni coltivati, azzerandone fertilità e biodiversità, ci pensano le normali tecniche di aratura, pratica messa in atto dalla notte dei tempi. Possibile che un’attività così antica risulti dannosa? Sì. “Un tempo la punta di legno degli aratri trainati dai buoi non riusciva a penetrare nel terreno per più di cinque centimetri -spiega Lino Falcone, biologo esponente dell’associazione ambientale Terra Cibo e Cultura- Dagli anni Cinquanta in poi, invece, trattori sempre più potenti hanno iniziato a trainare aratri dal vomere in acciaio, capaci di penetrare nel terreno fino a cinquanta centimetri e oltre. Questo dissodare in profondità ha finito per distruggere la biodiversità: i microrganismi che garantiscono la fertilità vogliono stare dove stanno, stratificati in funzione di luce e ossigeno. Non solo: il carbonio organico presente negli strati inferiori, quando si rivoltano le zolle entra in contatto con l’ossigeno e si ossida, liberando CO2: non è noto ai più, ma 1/3 dell’anidride carbonica responsabile dei cambiamenti climatici è provocata proprio dalle arature”. L’Italia, dove il grano duro occupa una superficie superiore al milione di ettari, non è messa bene, specie al Centro-Sud: qui il 60% dei terreni è a rischio desertificazione e improduttività tra circa quarant’anni. Ecco quindi nascere nel 2019 Pastalive, primo progetto di pasta di grano duro coltivato senza aratura, ideato da Falcone in pool con alcune aziende agricole sparse per lo stivale. Perché seminare grano senza degradare i terreni si può. Parola di questo esperto “granocultore”. “Il nostro è un ritorno al futuro pensando al passato -spiega- Grazie a un sistema misto di punte e dischi i nostri aratri grattano in superficie il terreno, creando un letto di semina morbido, poco profondo, dove lasciar cadere il seme. Parlare di conservazione del suolo interessa a pochi, nonostante le indicazioni della Global Soil Partnership della Fao, ma attraverso una pasta artigianale, realizzata senza l’aratura tradizionale, vogliamo attrarre l’attenzione di pubblico e istituzioni”. Neanche a dirlo, a essere seminate, in quasi tutte le regioni d’Italia, tante varietà antiche, come il Senatore Cappelli, la Verna e il Gentilrosso, moliti a pietra per permettere al germe del grano di diffondere nella farina le sue proprietà. Assicurando così una vera “spremuta di grano” semintegrale, con basso indice glicemico e ricca di profumi e sapori. Tutta da raccontare la pasta, realizzata in 13 formati battezzati con nomi della tradizione locale, destinata (al momento) a un mercato di nicchia. Ecco quindi, tra le tante, le Schianatelle lucane, le laziali Siligine, dal latino siligineus, il frumento migliore degli antichi Romani, e le pugliesi (e tonde) Angele, dal nome con cui i bambini chiamavano le scintille dei falò. Ma anche le sicule busiate Nnamuri: perché i contadini a fine Ottocento seminavano Salvatore Tassa, Edoardo Papa, Giovanni Cappelli, i tre chef testimonial di Pastalive. Si tratta di una pasta più vera, da trattare con gentilezza e attenzione stando attenti all’umidità e al tempo. E la pizza dopo mezz’ora è già assimilata

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