N°142 Giugno Luglio

3 Food&Beverage |giugno-luglio 2022 EDITORIALE Barbara Amati amati@foodandbev.it i AAA cameriere cercasi Il ristorante di Torino ha un buon numero di coperti, il personale letteralmente corre per la sala, ma il cliente aspetta un’ora per mangiare. La proprietaria di un locale in Piemonte quasi piange quando racconta delle due ragazze che lavoravano lì da anni e che se ne sono andate: hanno preferito un lavoro in cucina in una Rsa. Un’altra giovane ha lasciato il lavoro al ristorante per quello in un bar dove alle 20 si tira giù la serranda. Un altro ristoratore dice che forse ha trovato un cuoco, ne parla come se fosse una pepita d’oro… Di racconti simili su e giù per l’Italia ne potremmo raccogliere a decine, perché da Bolzano a Milano, Roma e Palermo, la storia è sempre la stessa: non troviamo personale. E c’è anche chi, come il proprietario di un agriturismo in Piemonte che ha vicino un istituto alberghiero, lamenta: sono ragazzi che crescono con l’idea del locale stellato dove il cameriere sta fermo e porta un piatto alla volta. Qui bisogna correre. E allora ci si indirizza sugli studenti, ma prendendone più di uno, perché sicuramente ci sarà l’impegno familiare, con la fidanzata o altro, e ogni tanto salterà il turno. E anche chef come Filippo La Mantia e Alessandro Borghese che hanno lanciato l’allarme sulla mancanza di personale di sala e cucina sono convinti che sia un problema generazionale. Le previsioni, dopo un 2021 migliore dell’anno precedente, dicono che il 2022 per la ristorazione sarà l’anno della ripresa. Possibile, se non fosse per la zavorra costituita, oltre che da aumenti vari e dalle bollette, dalla totale mancanza di cuochi, camerieri e lavapiatti. Un fenomeno non solo italiano -e quindi gli strali verso il reddito di cittadinanza sono inutili- che in molti spiegano con i bassi compensi e il duro lavoro. Alzare gli stipendi è la facile ricetta di molti che un ristorante non ce l’hanno, ma ragionare in generale è un po’ difficile. Ognuno deve fare due calcoli sui margini che se ne vanno, il peso delle altre voci di costo e il fatto che trasportare gli aumenti sui prezzi al tavolo è pratica pericolosa. Ma non è neanche un problema di stipendio, come ha spiegato una ristoratrice: i dipendenti hanno scoperto che un’altra vita è possibile, il lockdown gli ha insegnato che le sere in casa non sono poi così male, che se uno nel frattempo si è costruito una famiglia vorrebbe anche godersela, e che con questi chiari di luna il ristorante non è un business così sicuro per i dipendenti. Gli si può dare torto se dopo anni di lavoro ai tavoli hanno cercato e trovato altro? Rimane il fatto che una crisi di questo tipo non può essere affrontata dal singolo ristoratore. Ma negli ultimi dieci anni il numero di bar e ristoranti in Italia è raddoppiato, una crescita che non ha pari in nessun altro settore economico. Occorre un’azione forte di categoria, del protagonismo delle associazioni che suppliscano alla debolezza dei singoli. In Trentino Alto Adige due organizzazioni hanno fatto un accordo per portare cento ragazzi siciliani a lavorare in alberghi e ristoranti della regione. Un’iniziativa significativa che porta a incrociare domanda e offerta di lavoro, un altro dei problemi che affliggono il nostro Paese. È una strada da seguire, ma intanto occorre essere consapevoli che forse un certo mondo si sta avviando alla fine, che in futuro la situazione sarà sempre più difficile, che il calo demografico si farà sentire anche di più, e che qualche ragionamento bisognerà pur farlo. Locali più piccoli? Take away super scontato? Delivery con un menu dedicato e un altro più sofisticato per la sala? Non ci sono risposte valide per tutti. Ma le domande sono quelle e aspettano risposte. Quando si parla con un ristoratore ormai si sa già cosa dirà. Manca il personale, i miei ragazzi mi hanno abbandonato, non trovo nessuno per la cucina e per la sala. Alzare gli stipendi non è così facile, ma qualche risposta bisognerà trovarla

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