N°140 Febbraio Marzo

84 Food&Beverage |febbraio-marzo 2022 Le alterne fortune del porco, celebrato dai Romani e trattato molto male da Dante Alighieri. In realtà è una squisitezza esaltata da cucine differenti, da quella italiana alla cinese. Come dimostrano La Griglia di Varrone e Bon Wei Elena Bianco Puro e poi immondo il maiale trionfa in tavola SFIZIOFOOD Porco qui…, porco là… Espressioni decisamente poco onorevoli per un animale così utile e squisito, che indebitamente si usano come insulto. Porco è un termine considerato talmente forte che ormai non lo abbiniamo più al maiale, anche se era parola comunemente usata almeno fino al XVIII secolo. Perché, allora, “maiale” ci sembra più gentile? Il nome deriva dal latino porcus maialis, dall’abitudine di sacrificare un animale di questa specie, castrato e grasso, alla dea Maia. Nella mitologia il maiale rappresentava, infatti, una bestia monda e innocente attraverso la quale gli dei mandavano messaggi agli uomini; è il caso dei sacerdoti etruschi, che con il fegato di porco praticavano la scienza aruspicina, ossia la previsione del futuro. Per Etruschi e Romani era dunque un animale puro, tanto che il grasso di maiale, la sugna, era simbolo di fertilità presso le spose latine, che vi ungevano gli stipiti della porta di una nuova casa per assicurarsi fortuna e fecondità. Anche nell’antica Grecia la carne di maiale primeggiava, e nell’Odissea il porcaro Eumeo viene chiamato “divino”. Virtù che vengono confermate da Virgilio, che celebra il maiale con l’episodio della scrofa bianca che indica a Enea il luogo dove sbarcare. Aldilà del suo forte valore simbolico, il maiale domestico, probabilmente diretto discendente del cinghiale o del maiale selvatico, era apprezzato anche per la bontà delle sue carni, tanto che Plinio testimonia il fatto che dall’Etruria periodicamente venivano spediti a Roma 20 mila porci, che piacevano ai cittadini dell’Urbe, come illustrano le ricette di Apicio, che potremmo definire il “protochef” per eccellenza. Una forte ambivalenza simbolica, però, afflisse il porco da subito: gli Egizi, infatti, ritenevano il maiale portatore di lebbra e ai porcari era proibito l’ingresso nel tempio. Parimenti, nella cultura ebraica e in quella islamica il porco era considerato animale immondo e alimento impuro. Tanta fama attribuita al maiale dalla religione pagana fu un’arma a doppio taglio per il povero animale durante il Medioevo cristiano, quando i simboli del paganesimo furono demonizzati e il porco diventò una creatura negativa, metafora della lussuria. Anche se rappresentava un’importante risorsa alimentare tanto per le corti, quanto per i ceti più umili, gli furono inflitte onte incancellabili. Come fece Dante, che nel canto XXX dell’Inferno descrive le pene dei falsari (che si azzannano l’un l’altro), ispirandosi alla porcilaia: “mordendo correvan di quel modo/che ‘l porco quando del porcil si schiude”. Dal divin Poeta a oggi, il povero porco non si è più scrollato di dosso questa brutta nomea, e il termine viene utilizzato per offendere o per indicare ciò che è disprezzabile. Nonostante sia animale sacro a Sant’Antonio e spesso raffigurato nella pittura come attributo del Santo, il porco nell’iconografia cristiana, in accordo all’esegesi medievale, rappresenta il peccato. Il maiale ama rivoltarsi nel fango, così come il peccatore si crogiola nella sporcizia dei suoi peccati. Per questo stesso motivo è emblema dell’invidia, perché nei mali altrui trova soddisfazione. Rappresenta inoltre l’avarizia, poiché come un avaro in vita non è utile a nessuno, da morto è di grande giovamento. Ecco perché compare nelle rappresentazioni del peccato in genere e della gola in particolare nell’arte italiana Nell’iconografia cristiana il maiale rappresenta l’avarizia, perché, come un avaro, in vita non è utile a nessuno, da morto è invece di grande giovamento. Per la quantità di mioglobina la sua carne è da considerarsi rossa, nonostante il suo colore rosato la faccia classificare come carne rosa

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