N°139 Dicembre

84 Food&Beverage | dicembre 2021 Sempre in carta nei menu che contano, con le sue carni dal sapore particolare l’errore di cottura è dietro l’angolo. Le esperienze di Francesco Massenz, Leonardo Zanon e Marco Torretta Elena Bianco Il raffinato piccione banco di prova per gli chef SFIZIOFOOD “Toujours perdrix!” Tradotto dal francese “Sempre pernice!”. Lo disse il confessore di Enrico IV re di Francia che infliggeva penitenze al sovrano, colpevole di scappatelle extraconiugali. Per farsi comprendere dal prelato, infatti, il re gli offriva prelibati pranzi a base di pernice così tante volte da farlo stancare e pronunciare la famosa frase, a cui potè astutamente ribattere “Toujours reine!” (“Sempre regina!”). Non sarà altrettanto per noi che, ahimè, le pernici non le mangiamo così spesso. Ma non fu sempre così: allo stato selvatico, insieme ai piccioni e alle quaglie, hanno fornito cibo all’uomo prima che imparasse ad allevare gli animali da cortile. Successivamente, sotto i sultani dell’Impero Ottomano (1299-1922), le pernici erano cacciate per passatempo e perché simbolo della cucina nobile, ma anche perché vivono a terra, non volano, non migrano e quindi sono più facili da catturare. Al contrario, i piccioni, allevati dalla notte dei tempi in Asia Minore, sono ottimi volatori tanto che fra di loro ci sono i “messaggeri” (viaggiatori) capaci di percorrere fino a 800 chilometri al giorno alla velocità di 80 chilometri all’ora. Nel Medioevo poi si costruivano piccionaie o colombaie, “stanze” annesse ai castelli e alle fattorie. Nel mondo greco e in quello romano sia il piccione sia la pernice erano considerati uccelli sessualmente iperdotati, si narra che le femmine di piccione si accoppiassero fra di loro in assenza dei maschi. Parimenti si favoleggia che il maschio della pernice rompesse le uova nel proprio nido in modo che la femmina, non dovendo più covare, si facesse coprire di nuovo. A sua volta la femmina, se il maschio corteggiava un’altra, interrompeva la cova per offrirsi a lui. Da ciò il suggerimento, anche del Macchiavelli, di far gustare piccione arrosto al vecchio che si accingesse ad avere rapporti amorosi; e, ancora, alla fine dell’Ottocento il brodo di pernice vecchia, aromatizzato con cannella, era indicato nel trattamento dell’impotenza. Secondo il medico Pisanelli (XVI secolo) i piccioni domestici, baciandosi scambievolmente, sanavano le malattie da frigidità. Molti naturalisti, oggi, considerano le pernici quasi identiche alle quaglie, se non per la mole maggiore e la corporatura più robusta delle prime. A differenza delle pernici, però, le quaglie sono viaggiatrici con grande smania di migrare, cosa che le rende poco socievoli e solitarie, seppur molto feconde. Per fortuna, perché già nel 3000 a.C. gli antichi Egizi ne catturavano grandi quantità con le reti, e lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) racconta che venivano essiccate, salate e mangiate crude. In tempi moderni, le quaglie hanno ottenuto un posto d’onore nell’immaginario dei cinefili: indimenticabili, infatti, le Cailles en Sarcofage. Nel bellissimo film tratto dal regista Gabriel Axel da un racconto di Karen Blixen, la straordinaria chef Babette offre un Le taglie possono andare dai 3-4 etti dei piccioni a un etto delle quaglie piccole d’allevamento. Gli animali possono essere congelati a patto di passare una patina d’olio sulla pelle per evitare che il freddo la rovini. E se prima si arrostivano, oggi si preferisce la cottura al sangue del petto

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