N°134 Febbraio Marzo

50 Food&Beverage |febbraio-marzo 2021 L’accordo di fine anno sulla Brexit che ha evitato il no deal ha rappresentato una buona notizia per l’agroalimentare italiano. Ma i problemi non sono stati risolti visto che in gennaio è stato registrato uno storico crollo del 38,3%delle esportazioni made in Italy in Gran Bretagna. La causa delle diminuzione delle esportazioni risiede negli ostacoli burocratici e amministrativi che frenano gli scambi commerciali. Lo afferma Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di gennaio, il primo dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Le stime dell’associazione riguardano tutto l’export, ma gli alimentari sono al primo posto fra i prodotti italiani esportati in Gran Bretagna. A diminuire sono anche le importazioni in Italia da Oltremanica che si riducono addirittura del 70,3%, ma in questo caso a essere colpiti sono soprattutto mezzi di trasporto, prodotti chimici, macchinari e apparecchi. Le difficoltà negli scambi commerciali con la Gran Bretagna mettono in pericolo i 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari made in Italy registrato lo scorso anno. Il Regno Unito è al quarto posto tra i partner commerciali italiani per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. A essere colpiti sono soprattutto i piccoli produttori e anche nel settore vitivinicolo che è la principale voce dell’export agroalimentare made in Italy -conclude la Coldiretti- si potrebbero riscontrare difficoltà soprattutto in materia di etichettatura, con norme specifiche previste però solo a ottobre 2022. La notizia non sorprende visto che, nonostante il sollievo per il raggiungimento dell’accordo, qualcuno aveva subito avvisato che non bisognava pensare che tutto fosse finito. Il monito lo aveva lanciato Cia-Agricoltori Italiani secondo la quale è importante mantenere una stretta vigilanza sulla governance per evitare danni futuri alla libera e leale concorrenza. Secondo Cia occorrerà una stretta sorveglianza sul cosiddetto level playing field (la parità di condizioni sulla concorrenza), per fare in modo che Londra possa sì discostarsi dalla regolamentazione europea, ma senza il rischio di una concorrenza sleale alle aziende europee in merito agli aiuti di Stato e alle normative in campo fitosanitario e ambientale. Nonostante le difficoltà registrate, l’intesa rappresenta comunque una boccata d’ossigeno per il made in Italy agroalimentare. Un no deal avrebbe determinato barriere tariffarie, minore domanda interna nel mercato inglese e il deprezzamento della sterlina, penalizzando i prodotti italiani più venduti nel Regno Unito. In primis il vino, che rappresenta il 24% del totale delle esportazioni agroalimentari Oltremanica, con un fatturato superiore a 830 milioni di euro. Di rilievo anche il nostro export di ortofrutta trasformata (13%) e ortofrutta fresca (6%), così come dei prodotti da forno e farinacei (11%) e dei lattiero-caseari (9%). Secondo Coldiretti, però, l’accordo preoccupa per i rischi sulla mancata tutela giuridica dei prodotti a Indicazioni geografica e di qualità (Dop e Igp) che incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare made in Italy e che, senza protezione europea, rischiavano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione inglesi e da Paesi extracomunitari. Dopo il vino, Francesco Torlaschi L’accordo fra GB e la Ue non risolve i problemi Nel primo mese dopo l’intesa crollano le esportazioni verso la Gran Bretagna. Colpa delle complicazioni burocratiche. Intanto è stato firmato l’accordo con la Cina BREXIT Una montagna di carte. Secondo Confagricoltura l’aumento della burocrazia per l’export verso il Regno Unito comporta un aumento dei costi fra il 4 e il 10%. Le importazioni di merci dall’Unione Europea richiederanno la presentazione di 215 milioni di dichiarazioni doganali, circa 600 mila al giorno

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