N°127 Gennaio Febbraio

Nell’immaginario collettivo siamo grandi consumatori di pane, in realtà ne mangiamo sempre meno. Nel 1980 ne consumavamo in media 84 chili a testa che oggi sono scesi a 31. E non ci sono segnali di ripresa. I motivi del calo risiedono soprattutto in un’alimentazione di natura dietetica e salutistica PRODOTTI Appena ci sediamo al ristorante ci viene offerto il cestino del pane, perlopiù, nei locali di livello, preparato direttamente nelle cucine. Il pane è un vanto per gli chef che lo propongono in piccoli formati (immancabili anche i grissini e spesso pure la focaccia) e con diverse farine arricchite di vari semi, papavero, cumino, ma anche noci, olive, rosmarino. Il loro sapore non deve “disturbare” i piatti, ma il pane è sempre gradito e spesso termina prima ancora di iniziare il pranzo: una coccola in attesa della pietanza. Così, quando andiamo all’estero, notiamo subito che in tavola spesso manca il pane, ma, nella realtà, quando siamo a casa, di michette, tartarughe o pane casereccio ne mangiamo sempre meno. Una contraddizione, ma è questa la realtà che è emersa anche al Sigepdi Rimini dove nel corso dell’incontro Giorgio Agugiaro (presidente Sezione Molini a frumento tenero Italmopa) ha ricordato come “la strutturale riduzione del consumo di pane sembra confermata anche per il 2019, seppur in misura più contenuta rispetto al passato. Tra le varie tipologie di pane emerge, in particolare, un trend positivo per quelle ottenute da farine di frumento integrale o semi-integrale. Per quanto concerne l’evoluzione dei canali distributivi, si assiste, in risposta all’incremento del peso della Gdo, a una diversificazione dell’offerta da parte dei panificatori che investono sempre più nell’immagine dei panifici che diventano luoghi di consumi, di incontro e convivialità”. Secondo gli ultimi dati disponibili diffusi a luglio 2019 (che fanno riferimento al 2018) da Assopanificatori e Assipan, il quadro infatti è preoccupante, con una forte contrazione dei consumi. Il consumo pro capite è fermo a 31 chili, il dato più basso nella storia della panificazione in Italia. Si tratta di una ulteriore conferma del trend negativo, poiché nel 2014 il consumo di pane pro capite era di 36 chili all’anno e nel 2008 di 50 chili, senza contare che nel 1980 gli italiani consumavano una media di 84 chili di pane a testa, pari al 64% in più del pane consumato in Italia nel 2018. Inevitabili i riflessi su produzione, distribuzione e occupazione del comparto. Le imprese di panificazione oggi sono meno di 3 mila, i punti vendita al dettaglio meno di mille e se prima le aziende avevano in media tre addetti con una produzione media giornaliera oltre i 200 chili, oggi si è scesi in media a un dipendente con meno di 80 chili al giorno. Difficile tirare avanti in queste condizioni. Come ha fanno notare anche il presidente di Assopanificatori Davide Trombini, “anche un forno che riesce a produrre e vendere non più di 80 chili di pane al giorno necessita comunque di un laboratorio rispettoso di norme e regolamenti, il cui costo non è inferiore ai 300-350 mila euro, e a questo punto diventa quasi impossibile ammortizzare le spese in tempi accettabili. Intanto, il prezzo del pane rimane costantemente al di sotto dell’indice medio di incremento dei prodotti alimentari, a fronte di tariffe per le utenze (acqua, luce, gas) che aumentano a due cifre. E oltre a regole e regolamenti, tasse e burocrazia, ad aggravare la situazione sono la concorrenza sleale della Gdo, che utilizza il pane fresco come prodotto civetta, e il fenomeno dell’importazione del pane congelato dall’Est Europa, realtà libera dalle nostre normative e dalla nostra tassazione, capace di esportare da Francesco Torlaschi Il fragrante cestino del pane al ristorante si svuota subito, invece a casa ne consumiamo sempre meno e siamo in fondo alla classifica per i consumi europei. Un indiscusso calo che porta con sé diversi problemi che pesano sul settore L’amore sfiorito degli italiani per il pane 66 Food&Beverage | gennaio-febbraio 2020

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