N°144 Novembre

84 Food&Beverage | novembre 2022 Questo tubero, che vanta anche un potere disintossicante e combatte l’anemia, è protagonista nella bagna caoda in Piemonte e nei piatti di ristoranti che hanno anche recuperato vecchie ricette, come l’Antica Hostaria Serenissima e Al Capriolo Elena Bianco Dal Piemonte al Cadore è cartufola o topinambur SFIZIOFOOD A fine estate, quando il sole scalda il terreno anche alle elevate quote del Cadore nella zona di Domegge (Bl), terra di occhialerie e di monti dedicati al dio Thor (gli Spalti di Toro), un fiore giallo illumina i campi e segue i tiepidi raggi. Non si tratta del girasole (a cui assomiglia un po’), ma di un’umile pianta quasi infestante della famiglia delle Asteracee, l’Helianthus Tuberosus. Sembra un fiore di campo selvatico senza alcun pregio particolare, ma nasconde un goloso segreto: un bulbo sotterraneo che si raccoglie bianco e precoce da fine agosto e scuro ai primi freddi; ha un delicato sapore che ricorda vagamente il carciofo. Da queste parti lo chiamano, in dialetto cadorino, cartufola, altrove è noto come topinambur, un astruso nome francesizzante che deriva da una tribù brasiliana: i Tupinamba. Il tubero venne infatti battezzato dall’esploratore francese che lo portò in Europa e dai primi commercianti, in una sorta di delirio esotizzante molto in voga all’epoca. I poveri Tupinamba, infatti, erano saliti alla ribalta della cronaca nel Vecchio Continente quando, nel 1613, vennero esposti come curiosità a Parigi in una sorta di vergognoso “zoo umano”. In realtà il prodotto arrivava non dal Sud America, bensì dal Canada, consumato dai nativi delle lande freddissime del nord; fra i tanti nomi che lo contraddistinguono, c’è anche quello di “patata del Canada”, ma anche patacca, trifola, taratufolo, carciofo di Gerusalemme o rapa tedesca. Dai laghi del Canada al lago di Centro Cadore, il salto sembra (non troppo) breve... Però, prima di approdare sulle tavole venete, il topinambur fece tantissima strada: grazie al “passaggio” del famigerato francese, infatti, tutta l’Europa scoprì le virtù in tavola di quello che precedentemente era considerato solo un vivace fiore ornamentale. Ben presto si diffuse la fama di questi tuberi rosati e globosi, squisiti sia crudi, sia cotti, ma anche il loro potere disintossicante, di supporto per combattere l’anemia e aumentare il metabolismo; se quindi le tavole più raffinate li consideravano una prelibatezza, si iniziarono anche a utilizzare come rimedio popolare (e naturale) contro il diabete e i reumatismi. Successivamente, soprattutto nelle zone povere di montagna, il topinambur fu sostituito dalla patata, perché più calorica e facilmente conservabile tutto l’anno. Oggi, invece, il fatto che il topinambur sia ricco d’acqua, senza glutine, anticolesterolo e adatto ai diabetici (come il carciofo contiene anulina, un glucide tollerato anche dai diabetici), soprattutto ipocalorico (sole 73 calorie per 100 grammi), lo rende un alimento interessante, non solo dal punto di vista organolettico, ma anche nutrizionale. Protagonista assoluto in Piemonte consumato a crudo nella bagna caoda, in Veneto, a Domegge, fa parte della tradizione contadina recentemente recuperata. Un bel palazzo neogotico del 1360, infatti, è diventato la “casa” della cartufola: è Casa Valmassoni che nel XIV secolo è stata nientemeno che la dimora di Gaspar Valmassoni, vicario del Doge della Serenissima Repubblica di Venezia. Il topinambur è un bulbo sotterraneo che si raccoglie bianco e precoce da fine agosto ai primi freddi, quando diventa di colore scuro. Il suo sapore è delicato e ricorda quello del carciofo. Il suo nome deriva da una tribù brasiliana, i Tupinamba, perché da lì arrivò in Europa nel 1600

RkJQdWJsaXNoZXIy NTUwOQ==