Se è andato il Prof. Aureliano Amati, un grande dell’enologia italiana

Sabato scorso, in silenzio, ci ha lasciato Aureliano Amati, il prof. del vino, già ordinario di Tecnologie Alimentari all’Università degli Studi di Bologna. Chi in questi ultimi 30 anni dell’enologia si è interessato, anche se solo marginalmente, ha conosciuto o sentito citare questo nome.

 

L’enologia italiana degli anni ’70 e ’80 deve moltissimo all’opera intensa che questo ricercatore caparbio ha dedicato alla sperimentazione e che ha impresso un profondo cambiamento alla tecnica enologica. Oggi si dà per scontato pensare al controllo termico, all’uso ragionato dei molti coadiuvanti, alla scelta delle opportune linee di vinificazione, all’impiego dell’acciaio inox,  ma in quegli anni non era così. In molti casi i processi di vinificazione  erano molto sommari, talvolta arcaici, i vini erano spesso poco fini e non sempre stabili nel tempo. Era necessaria una visione innovativa, che doveva basarsi prima sulla ricerca di base e poi sull’applicazione a livello produttivo. E da qui, l’intuizione e l’impegno di Amati ha cominciato a prendere corpo quando, nel 1972, insieme ad altri grandi nomi, come il prof. Umberto Pallotta e l’allora Preside della Facoltà di Agraria di Bologna prof. Gabriele Goidanich, ha posto le fondamenta di un piccolo polo sperimentale in località Tebano dove, in un’azienda di proprietà del Comune di Faenza, un laboratorio ed una improvvisata cantina hanno dato il via alle prime attività di ricerca che, tramite l’azione divulgatrice dell’allora ESAVE, hanno trovato applicazione e larga diffusione in tutte le cantine. Elencare ciò che venne realizzato negli anni a divenire sarebbe troppo lungo, ma basti pensare solamente al vino in brik, al mosto concentrato rettificato o al recente lisozima, per comprendere l’entità e l’importanza del lavoro svolto; lavoro che non poté certo realizzare in solitudine, ma che richiese l’impegno dei suoi collaboratori. Questo fu l’altro importante aspetto della sua personalità: da ricercatore divenne anche maestro. Fondò una scuola di allievi, molti e capaci, che trasferirono l’esperienza acquisita nell’Ateneo bolognese su tutto il territorio del nostro Paese. Alcuni di questi seguirono le sue orme universitarie e nomi come Riponi, Galassi, Zironi e Ferrarini sono a tutti ben noti. Altri, molti, sono approdati al mondo della produzione ricoprendo importanti ruoli direttivi. La figura di maestro lo caratterizzò e lo rafforzò negli anni successivi, quando, dopo avere svolto  la sua attività all’Università di Udine ed al Politecnico di Ancona come Preside della Facoltà di Agraria, ritornando a Bologna, nella sede di Cesena, ha dato il via, prima al Diploma universitario e poi all’attuale Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia che ha formato e che forma tutt’ora i giovani enologi del domani.

La sua attività ha visto svariati riconoscimenti e, tra questi, non vanno dimenticati il premio Assoenologi per la viticoltura e l’enologia (1977) e il Grappolo d’oro (1984).

Queste poche righe sono sicuramente una eccessiva sintesi della grande mole di lavoro compiuto e, mentre scrivo, tante altre immagini mi vengono alla mente, ma ritengo che l’importante sia il ricordo di quanto lui ha dato all’Enologia ed agli Enologi.

Il prof. Aureliano Amati era Direttore editoriale di Food&Beverage e padre del nostro Direttore responsabile Barbara Amati

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