Chiocciole gourmet

A fortune alterne, le lumache hanno sempre fatto parte della vita dell’uomo: come piatto utile in mancanza d’altro o come raffinata prelibatezza. Oggi sono in molti che le chiedono al ristorante o che le gustano nelle feste popolari in cui sono protagoniste. Con una novità per i palati più esigenti: il caviale di lumaca

Frida Parise

lumacheAveva visto lungo e giusto la Lumachella de la Vanagloria di Trilussa che, guardando la bava che aveva tracciato su un obelisco, disse: “Già capisco che lascerò un’impronta nella storia”. Questo mollusco ha, infatti, attraversato le vicende culinarie degli uomini giungendo fino ai nostri giorni come prelibatezza da veri gourmet. Ma non è sempre stato così. Sebbene l’uomo non abbia mai smesso di mangiarle, da quando rappresentarono una manna dal cielo in mancanza d’altro, le lumache hanno attraversato periodi di fama alterna: da cibo per le classi più elevate a piatto per i più poveri, da alimento impuro, come lo definì Mosè nella Bibbia, a ingrediente per medici e ammalati. Greci e Romani ne erano pazzi: il celebre gastronomo Marco Gavio Apicio nel suo De re coquinaria consiglia quattro ricette in cui le lumache sono spurgate nel latte per diversi giorni e poi fritte o arrostite e servite con varie salse, tra le quali l’immancabile garum; Plinio il Vecchio racconta nella Naturalis Historia che i patrizi ne mangiavano molte servendosi da allevamenti in cui le lumache erano ingrassate con farine di cereali ed erbe aromatiche.

Pare, infatti, che vada proprio a Roma il merito della nascita dell’elicoltura: nel 49 a.C. un certo Fulvio Lippino importava, con un servizio speciale di traghetti, chiocciole fresche dalla Sardegna, dalla Sicilia, da Capri, dalla Spagna e dall’Africa e le allevava nella sua proprietà di Tarquinia in vivai distinti per bianche “che nascono nella campagna di Rieti”, illiriche, “caratterizzate da una grandezza straordinaria”, africane, “molto feconde”, e soletane, “ricche di molta fama”. L’idea fu ben presto copiata e la passione per le lumache investì anche la Gallia. Un amore che non si è mai spento, visto che oggi i francesi sono i più accaniti consumatori di escargot, servite come raffinato antipasto e cucinate in diversi modi, tra i quali il più famoso è à la Bourguignonne: la conchiglia viene prima svuotata e poi riempita di nuovo con la chiocciola avvolta in due strati di burro agliato e prezzemolo e poi passata in forno.

Come i nostri cugini d’Oltralpe anche noi italiani siamo rimasti dei veri cultori delle lumache, tanto che ogni regione possiede la propria ricetta per cucinarle, generalmente in umido o trifolate, con o senza pomodoro. Tra le più apprezzate, sia nella cucina di casa nostra, in particolare nelle regioni settentrionali, sia in quella francese, c’è la grande Helix pomatia, soprattutto nella varietà alpina, dalla carne bianca e raffinata. Nelle zone mediterranee, ma anche in Liguria, si preferisce la piccola Helix aspersa, la “chiocciola dei giardini”. In Puglia, dove si mangia cruda o appena arrostita sulla brace, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna la protagonista è l’Helix aperta o “cozza di terra”, di taglia medio-piccola e dalla carne delicata. Molto diffusa in Italia è anche l’Helix lucorum, la “lumaca dei boschi”, dalla carne piuttosto scura e leggermente più fibrosa delle altre. Dai boschi alla pianura, con quella di Cherasco. Prodotto tipico delle Langhe, la sua carne sapida e soda è ottima in umido (alla cheraschese), con erbe aromatiche e vino rosso, fritta, in guazzetto, bollita, in salsa e in frittata. E, ancora, dal Piemonte al Veneto con la pregiata lumaca dei Monti Lessini, passando per Toscana e Lazio dove si trova l’Helix (Eobania) vermiculata o rigatella, fino alle isole dove particolarmente diffusa è l’Helix (Theba) pisana.

Proprio in Sicilia, dove sono suddivise in tre categorie (babbaluci, quelle piccole, bianche e già aperte, attuppateddi, bianche ma chiuse, e crastuni, quelle grosse scure), c’è un vero e proprio culto delle lumache, tanto che a Palermo, il 14 luglio, giorno di Santa Rosalia, babbaluci bolliti con aglio e prezzemolo riempiono le bancarelle. Una passione culinaria confermata anche dallo chef Filippo La Mantia, palermitano Doc: “È una tradizione antichissima, nata nei quartieri poveri. Ancora oggi nei mercati ci sono i venditori con zuppiere piene di lumache con prezzemolo e aglio che la gente gusta con pane caldo o mentre cammina. Sono immancabili durante le feste patronali, soprattutto d’estate quando vengono raccolte fra i cespugli e nelle campagne. Io ho eliminato aglio e cipolla dalla mia cucina, ma preparo un ragù di lumaca con pesto di limone, prezzemolo, capperi e basilico. Acquisto le lumache a Noto, dove ci sono allevamenti straordinari”.

escargot

Ma è ancora dalla provincia di Palermo che arriva una golosa e pregiata novità che, conosciuta sin dall’antichità e apprezzata già in molti Paesi, si sta diffondendo anche in Italia: il caviale di lumaca. A Campofelice di Roccella, nel più grande impianto a campo aperto d’Italia, Davide Merlino, Michele Sansone e Giuseppe Sansone allevano 150 tonnellate di chiocciole madonita (un incrocio tra quella francese e quella autoctona) e producono le preziose perle di Afrodite. Dal profumo delicato, con sentori di sottobosco, funghi e foglie di quercia e dal gusto erbaceo e minerale, queste delicate sfere stanno invadendo i piatti degli chef, da Michel e Kinette Gautier che, nel loro ristorante di Bordeaux, le propongono con ostriche in gelatina o al cucchiaio condite con olio allo zenzero, succo e zeste di limone e un pizzico di peperoncino rosso piccante di Espelette, a Danilo Angè che le esalta con crema all’uovo e parmigiano. Un lusso in tutti i sensi: il caviale di lumaca cosa 1.600 euro al chilo. Ma ne basta poco, assicurano gli chef.

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