Chef in… fermento

Bionda, rossa o bruna; a bassa, alta o spontanea fermentazione; leggera o più strutturata: la bevanda alcolica più antica del mondo sta vivendo una nuova giovinezza grazie a consumatori sempre più preparati e ai cuochi che la propongono a tutto pasto o come ingrediente fondamentale per ricette… effervescenti

Jenny Maggioni

“La birra? Dannazione, è la cosa migliore del mondo!”: lo disse l’attore americano Jack Nicholson, evidentemente con una forte passione per questa bevanda. Un’affermazione di certo condivisa da molti visto che da oltre 10 mila anni, da quando cioè in qualche villaggio della Mesopotamia è stata prodotta la prima birra, questa bevanda è sempre stata protagonista nella vita e sulla tavola degli uomini, in tutti i continenti e a tutte le latitudini. Anche prima del vino. Ma è oggi che la birra sta attraversando il suo periodo migliore grazie a una rivoluzione globale che finalmente le sta dando il posto che si merita nei ranghi della cultura gastronomica mondiale. Oggi si parla, infatti, sempre più spesso di birre di qualità e si moltiplicano le possibilità di consumo e di conoscenza. E proprio il caso di dire che c’è fermento: così, ad esempio, nei Paesi in cui la produzione è sempre stata mediocre si scopre una vivace cultura birraia; si riutilizzano vecchi stili e se ne inventano di nuovi; si provano ingredienti esotici e del territorio e, addirittura, si sperimentano le medesime tecniche della vinificazione. E i beer lover apprezzano.

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A conferma di ciò, più che i numeri del consumo ci sono le testimonianze concrete: dal proliferare di microbirrifici artigianali, brewpub e beer firm all’attenzione per le carte delle birre nei ristoranti più blasonati. “Allargando lo sguardo sull’andamento dell’ultimo decennio, in termini quantitativi la stabilità dei consumi è il tratto sicuramente predominante -spiega Alberto Frausin, ceo di Carlsberg Italia e presidente di AssoBirra, l’associazione degli industriali della birra e del malto- Infatti tra il 2003 e il 2012, con l’eccezione del 2007, anno in cui, unico nella storia, hanno superato la soglia dei 31 litri pro capite, e del 2009, quando, subito dopo lo scoppio della crisi economica, sono scesi a 28 litri, i consumi si sono sempre attestati fra i 29 e i 30 litri. Il quadro cambia, però, parzialmente se si confronta l’Italia con gli altri Paesi europei”. Nel 2012, secondo i dati del Rapporto annuale di AssoBirra, il consumo medio pro capite di birra nell’Unione Europea (più Svizzera e Norvegia) è sceso a 71,5 litri (-4,2 per cento), con decrementi più o meno accentuati in tutti i Paesi maggiormente consumatori (Repubblica Ceca 144, Austria 107,8, Germania 105, Irlanda 85.6, Lussemburgo 85, Belgio 74, Gran Bretagna 68,5). E in Italia? I 17 milioni e 636 mila ettolitri di birra commercializzati nel 2012 (comprensivo delle quantità importate) equivalgono a un consumo pro capite di 29,5 litri: “Rimaniamo i consumatori più parchi d’Europa -afferma il presidente di AssoBirra- Ma, pur mantenendo l’ultimo posto nella classifica dei consumi, abbiamo comunque ridotto per il quarto anno consecutivo il gap rispetto alla media dell’Unione europea. Anche se, va sempre ricordato, rimane dalle 3 alle 5 volte inferiore a quello dei Paesi in testa alla graduatoria, e al di sotto di Paesi a noi vicini, quali Spagna, Portogallo, Grecia e Francia”.

Fra imposte e accise
Comunque, nel Belpaese la birra attira sempre più interesse: 7 italiani su 10 dichiarano di consumarla regolarmente e in questo bacino di oltre 30 milioni di beer lover c’è il crescente gradimento delle donne (6 su 10 la bevono, anche se, a conferma dell’aumentata consapevolezza del bere responsabile, con un consumo di soli 14 litri pro capite e in prevalenza a pasto). Tuttavia, a minacciare il futuro sempre più roseo delle birre italiane c’è il forte onere fiscale che, fra imposte e accise, continua a gravare sulle produzioni nazionali, penalizzandole gravemente sia rispetto a molte di quelle europee, sia alle bevande le cui accise sono pari a zero: “Per dare l’idea del problema, quando un consumatore italiano acquista una bottiglia di birra da 66 centilitri al prezzo medio di 1 euro, 40 centesimi sono di tasse: come dire che più di un sorso su tre va al fisco -sottolinea Frausin- Nonostante ciò, in maniera ricorrente qualcuno propone di aumentare ancora le tasse sul nostro prodotto con conseguenze, lo abbiamo più volte denunciato, che sarebbero dannose non solo per il nostro settore, ma per l’economia nazionale”. E, proprio un altro forte aumento delle accise in Italia è previsto per il 1° gennaio 2015, mettendo a rischio oltre 150 mila lavoratori. Ma, nonostante le difficoltà “il settore birraio continua a produrre e a vendere, tanto in Italia, dove la nostra quota ha superato la soglia del 65 per cento, quanto all’estero (un po’ meno in Europa, un po’ più Oltreoceano) -aggiunge il presidente di AssoBirra- Continua a contribuire alle finanze pubbliche: nel 2012 lo Stato ha incassato di sole accise oltre 484 milioni di euro, 20 in più rispetto al 2011. Soprattutto, aumenta l’occupazione grazie all’affacciarsi di nuove realtà imprenditoriali”.

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Il fenomeno dei microbirrifici
In Italia i microbirrifici sono quasi 550, tra produttori e beer firm, con la presenza di almeno un’azienda in ogni provincia, che rappresentano circa il 2-2,5 per cento della produzione nazionale a volume e il 10-12 per cento a valore. Un numero enorme se si pensa agli albori della storia birricola nazionale in cui si contavano solo pochi pionieri. Capofila di questa tendenza è la Lombardia che conta ben 76 microbirrifici, seguita da Piemonte (54), Emilia Romagna (40), Toscana (38) e Veneto (34). Parliamo di piccole aziende, prevalentemente costituite da under 40, in grado di impiegare mediamente da 2 a 5 persone (salvo rari casi, circa il 5 per cento del totale, in cui si superano i 10 occupati) e con una media produttiva annua per azienda che si attesta sui 411 ettolitri. In sostanza, se la produzione di birra in Italia è pari a 13,4 milioni di ettolitri, 300 mila derivano dalle aziende artigianali, con l’export che tocca i 20 mila ettolitri dei 1,9 milioni totali.

Ma, oltre alla capacità produttiva, la spinta interessante che stanno dando i nuovi birrifici artigianali nazionali a livello mondiale è la reinterpretazione della birra utilizzando ingredienti legati al territorio, come castagne, farro, riso, erbe aromatiche, spezie della macchia mediterranea; aromatizzate al tartufo o al miele; maturate in barrique “costruite” con lieviti recuperati in distillerie scozzesi; infuse con foglie di tabacco toscano. Nell’era in cui il cibo è protagonista assoluto e in cui le persone non sono più semplici consumatori, ma gourmet sempre più preparati e curiosi, il settore birrario italiano sta, infatti, puntato sulla qualità, immettendo sul mercato oltre 2 mila marchi rispetto ai 700 di 10 anni fa. Tra questi, la nicchia più significativa è appunto quella delle specialità, come le birre di frumento, quelle di riso e le artigianali, che rappresentano ormai il 3-4 per cento dei volumi totali e registrano margini di crescita annui tra il 10-20 per cento.

Un cambiamento importante per un Paese in cui storicamente si producevano e si consumavano soprattutto birre chiare, che ha dato il “la” anche ad aziende che sembravano essersi “sedimentate” nella fornitura di lager (la birra più diffusa al mondo, regina della bassa fermentazione, di colore che varia dal giallo paglierino al dorato e dai profumi equilibrati) o nella selezione di birre speciali, destinate però esclusivamente ai pub di nicchia, e alla diffusione sul mercato italiano anche, ad esempio, delle weizen tedesche (a base di frumento maltato, di alta fermentazione, spesso non filtrate, con corpo leggero, profumi floreali e fruttati e note di spezie), delle blanche belghe (birre di alta fermentazione a base di frumento non maltato, non filtrate e spesso aromatizzate con semi di coriandolo, scorza d’arancia e altre spezie come il cumino e l’anice stellato) e delle India pale ale (Ipa) americane e inglesi (eredità dell’India del Settecento, versione più alcolica e luppolata della semplice pale ale che supera facilmente il 5 per cento di alcol).

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Gusti raffinati
È proprio il caso di dire quindi che la bevanda alcolica più antica del mondo è allo stesso tempo quella maggiormente capace di adattarsi alle tendenze e ai gusti mutevoli e raffinati dei “birrofili” di oggi. Stout (birre scure nate in Irlanda, di alta fermentazione e prodotte con una percentuale di malti fortemente tostati che gli conferiscono profumi di torrefatto, liquirizia e caffè), pils (inventate nel 1842 nell’attuale Repubblica Ceca, di bassa fermentazione, di colore giallo dorato e dai profumi erbacei e floreali), trappiste (prodotte in solo sei monasteri in Belgio e caratterizzate da una grande intensità aromatica), d’abbazia (nate per lo più sulla base di ricette elaborate negli antichi monasteri belgi, di alta fermentazione, forti e complesse, spesso rifermentate in bottiglia e con note fruttate e intense) e lambic (stile unico al mondo che regala una birra a fermentazione spontanea prodotta in una piccola zona del Belgio con luppoli invecchiati, malto d’orzo e frumento, dal sapore e dal profumo con evidenti note acidule e una grande complessità aromatica) sono entrate ufficialmente nel gastrodizionario dei foodie internazionali che le scelgono a seconda delle occasioni di consumo e non come alternativa “minore” del vino. Dalla dissetante pils, dal gusto secco e dal finale aromatico, per l’aperitivo al barley wine, molto alcolico e dalle note fruttate e vinose, per il dopo cena.

Gli abbinamenti in tavola
Ma, appunto, per la cena? Gli abbinamenti sono pressoché infiniti, alcuni ovvi (come pizza e lager), ma altri imprevisti e impensati, assicurano gli chef, proprio grazie alle caratteristiche salienti della birra come l’amaro, il dolce, le bollicine, il minor grado alcolico e la grande varietà di sapori, che compensano scarsi tannini e acidità, i punti forti del vino, e che le permettono di accompagnare quei cibi che quest’ultimo rifiuta come, ad esempio, carciofi, aceto e cioccolato. Dal pesce alla carne, dai formaggi ai dessert il matrimonio birra e cibo svela dunque orizzonti completamente nuovi in fatto di sapore. “Le tradizioni gastronomiche del Nord dell’Europa ci insegnano che la birra è ottima con pesci, crostacei e frutti di mare -spiega Ernesto Iaccarino del Don Alfonso 1890 di Sant’Agata sui Due Golfi (Na), due stelle Michelin- Invece da noi, purtroppo, spesso è considerata un’eresia. Ma, ovviamente seguendo alcune accortezze, l’abbinamento è facile e di grande impatto. Per non sbagliare si può pescare nell’universo delle lager e delle pils. La leggerezza di una lager cruda si accompagna perfettamente, ad esempio, a una Passata di fagioli cannellini con vongole alla brace, polipetti veraci e semi di finocchietto, ma anche ai sapori morbidi e delicati di una spigola bollita, di un’orata al forno, di un rombo in crosta di sale e di una zuppa di pesce leggera e con poco aglio. Il maggiore corpo delle pils, invece, trova un matrimonio perfetto con la leggerezza aerea, ma molto grassa e calorica, della frittura mista di paranza o di quella di soli calamari e gamberi o con il Dentice in crosta ai profumi mediterranei”.

Anche nel caso di birra e carne l’insegnamento arriva dal Nord Europa, Germania, Inghilterra e Belgio in primis, dove è il naturale accompagnamento dei tradizionali piatti di keller, pub e brasserie, dai würstel tedeschi di vitello weisswürst alla Carbonade, lo spezzatino belga di manzo cotto nella birra. “Nel caso dei secondi piatti, gli abbinamenti tra birra e carne lasciano molta libertà -afferma lo stellato Karl Baumgartner del Schöneck di Falzes (Bz)- L’unica accortezza è evitare di bagnare le carni in cottura con il vino, preferendogli magari il brodo o, perché no, proprio la birra. Come, ad esempio, nella Spalla di maialino arrosto croccante in salsa di birra realizzato e abbinato a una weizen, sicuramente la più indicata ad accompagnare carni di maiale e che non stona neanche con il fondo di verdure e di odori della salsa e con la leggera nota di mostarda che aromatizza il piatto. Per i Medaglioni di stinco di vitello cotti a bassa temperatura scelgo invece una bock, una birra al doppio malto, per cui notevolmente alcolica, sia per lo zabaione, sia per bagnare la carne dopo la sua rosolatura nel burro e quindi anche per l’abbinamento. Per le carni bianche meglio invece le lager (la faraona arrosto con una più leggera, il coniglio leggermente marinato nella senape con una versione più corposa) e le pils che si prestano anche in preparazioni più ricche e sapide, come il pollo con i peperoni o un classico rollé di tacchino”.

Via libera dunque all’incontro tra birra e pesce e birra e carne. Anche crudi. “Una fresca bière blanche è un ottimo accompagnamento per i carpacci di pesce bianco e per i crostacei crudi, anche se oggi sono ancora molti coloro che optano per il vino -spiega il bistellato Mauro Uliassi dell’omonimo ristorante di Senigallia (An)- Ad esempio, in Acqua di pomodoro con alghe, anima di melone, scampi e gelato di ricci di mare, del 2010, gli equilibri delicati rischierebbero, infatti, di essere rotti da una birra più corposa. L’ostrica, invece, ha bisogno di essere contrastata, un ruolo svolto, ad esempio, in Patate, prezzemolo, ostrica, cacao e gelato di cipolla di Tropea dal cacao e dall’abbinamento con un’ale scura che, oltre a saper fronteggiare l’ostrica, accompagna sia le noti dolci della cipolla, sia quelle amare del cacao”. E, per quanto abbinare una birra chiara alla carne rossa possa sembrare un po’ ardito, vale la pena di provare ad accostare il finale leggermente amarognolo delle pils con un carpaccio di manzo non troppo adulto. Il carattere di quest’ultima birra è perfetto anche con alcuni primi della tradizione regionale italiana, dalle trofie al pesto (ottime anche con le lager) al risotto al radicchio. Marco Bistarelli de Il Postale, ristorante all’interno del Castello di Monterone a Perugia, con una buona carta delle birre in cui spiccano i microbirrifici della zona, la abbina ai Tortelli di Parmigiano con ragù di asparagi e uovo crudo: “Il gusto croccante degli asparagi, unito alla ricchezza dell’uovo crudo, fa pensare a una ‘tortilla’ in preparazione e il parmigiano all’interno dei tortelli segue la scia degli ingredienti di una classica e gustosa frittata di asparagi -spiega lo chef- Il retrogusto amarognolo della pils contrasta le verdure e la sua freschezza stempera il gusto ricco dell’uovo e del parmigiano. Con il Risotto con cipolla brasata, fegato di anatra marinato e cioccolato al 72 per cento ho scelto, invece, una birra d’abbazia ambrata scura mediamente alcolica che, con i suoi profumi e con suo il gusto complesso, bilancia il sapore delicato ma intenso del fegato grasso e quello amaro e contrastante del cioccolato”.

Ma non solo abbinamenti: gli chef sperimentano la birra anche come ingrediente. Tra i primi lo stellato Marco Stabile, del ristorante Ora d’Aria di Firenze: “Da anni sperimento i modi di utilizzare la birra in cucina -racconta lo chef- Inizialmente mi sono concentrato solo sull’amaro, utilizzando la birra in riduzioni e in cottura. Ma poi ho capito che la sfida era cercare di mantenere tutta l’esperienza che la birra regala, anche in termini di sentori e quindi di emozioni”. Sono nati piatti signature come il Risotto ai carciofi 100 per cento, animelle birrate, polvere di lamponi e Scaloppa di foie gras croccante, birra, crema di carote.

Innumerevoli possibilità, dunque, che ci inducono a pensare che “le vie della birra sono infinite” e a sottoscrivere l’affermazione di Platone che “chi ha inventato la birra era un saggio”.

 

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