Professione sala

Accolgono gli ospiti, spesso anticipandone desideri e necessità, ma il lavoro di maître e camerieri non viene adeguatamente considerato. Invece, sono necessari per innalzare gli standard di qualità di alberghi e ristoranti. L’associazione Noi di sala ne rilancia l’immagine

Jenny Maggioni

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“Recentemente ho sentito alla radio che al quarto posto dei lavori che i genitori non vorrebbero veder fare al figlio c’è il cameriere”, afferma Matteo Zappile, sommelier del bistellato ristorante romano Il Pagliaccio. Una dichiarazione schietta che mette in luce una dura realtà, perché, se la cronaca, esattamente un anno fa, raccontava del rapporto di stima e di amicizia tra Angela Merkel e un maître di un noto hotel di Ischia che, licenziato, ha ricevuto la visita della cancelliera tedesca, dall’altra al lavoro in sala non è riconosciuta l’importanza che merita. Proprio con l’obiettivo di rilanciare e affermare una volta per tutte il ruolo del maître, del cameriere e del sommelier nella ristorazione contemporanea, è nata l’associazione Noi di sala (www.noidisala.com): “Il lavoro in sala è in parte ancora sottovalutato -spiega Marco Reitano, sommelier de La Pergola, ristorante tre stelle Michelin sul tetto del Rome Cavalieri, a Roma, e presidente della nuova associazione- Dobbiamo recuperare il valore che il ruolo del cameriere aveva, ad esempio, negli anni della Dolce Vita, in cui era considerato il punto di riferimento del ristorante”.

Una presa di coscienza non facile da parte dei clienti, dei datori di lavoro e delle nuove generazioni, tutti incentrati sulla figura del cuoco-star. Ma, se l’importanza della qualità del cibo è imprescindibile, è “la sala che riceve gli ospiti, che per i primi minuti non hanno contatto con il cibo -sottolinea Alessandro Pipero, patron, sommelier, versatile maître, mattatore di sala del Pipero al Rex di Roma- Se si sbaglia l’approccio, tutta la serata parte male e incide negativamente anche sui piatti”. “Il maître è un punto di riferimento per tutti -aggiunge Marco Amato, sommelier dell’Imàgo, ristorante stellato dell’Hassler Roma- È il primo con cui il cliente ha a che fare anche quando in sala ci sono dei problemi”. “Il maître è colui che conosce tutto ciò che accade nel ristorante, per questo di lui ci si può fidare. Ma, basterebbe aprire un ristorante senza camerieri per capirne l’importanza -incalza Zappile- È come guidare una macchina senza ruote”.

Dunque, una professionalità che è sotto gli occhi degli addetti al settore, ma in ombra per tutti gli altri: un paradosso della ristorazione moderna, in cui le luci dei riflettori sono puntate sugli chef, un tempo esclusivamente dietro le quinte, senza illuminare mai gli “invisibili” della sala. Forse dopo MasterChef bisognerebbe pensare a un MasterMaître… Ma, al di là delle provocazioni, come fare per riportare in auge la professione e far comprendere ai giovani che anche questo tipo di lavoro è fondamentale e gratificante, con possibilità di carriera, al pari di quello in cucina? Fondamentale è fare informazione, fare capire alle nuove leve l’importanza di queste figure per l’economia di un ristorante e di un hotel: “Lo vedo nelle scuole: solo raccontando ai ragazzi il rapporto fondamentale tra sala e cucina, capiscono che cosa significa fare il cameriere”, afferma Amato. “Servire l’ospite è un’arte -sostiene Pipero- Il cameriere è di più di: ‘Il conto, per favore”. “Dobbiamo far capire che il maître è il protagonista di un ristorante, nel quale chi torna non lo fa solo per lo chef -aggiunge Reitano- Inoltre, il messaggio che deve passare ai giovani è che con questo lavoro, serio, ma svolto con allegria, si può davvero fare carriera”.

Dunque, possibilità di crescita professionale e di viaggi, al pari dei colleghi chef, ma a patto che si studi e non s’improvvisi, visto che oggi le qualità richieste a responsabili di sala e camerieri di alto livello comprendono la conoscenza delle lingue, una grande capacità di comunicare e ascoltare, competenze enogastronomiche e spirito manageriale. “Un maître oggi deve assomigliare a un sarto che, sapientemente, riesce a unire in armonia tutte le parti di un abito -spiega il presidente di Noi di sala- La conoscenza di tutto ciò che è cibo, legata a quella della cantina, dell’accoglienza e dell’ospitalità devono regalare un’esperienza unica all’ospite. Adattamento, capacità di interpretazione, eleganza e sobrietà sono le caratteristiche che un uomo o una donna di sala devono avere oggi”. “Il nostro ruolo ha subito una notevole evoluzione, sia in relazione alle nuove necessità del cliente, sia allo stile della cucina odierna, dove tutto è già porzionato -spiega Simone Pinoli, restaurant manager a La Pergola- Quindici anni fa contava solo la perfezione del servizio. Oggi si tende a occuparsi molto più dell’ospite. Per questo tra i nostri compiti c’è anche quello di stilare un report, memorizzando le preferenze dei clienti, le esigenze particolari, come le allergie o la religione, i piatti che hanno gradito di più, per consentire alla cucina di essere pronta per ogni evenienza”. Anzi, in qualche modo, il maître deve essere in grado di anticipare i desideri: “Oggi gli ospiti sono più preparati -riflette Raffaele Longo, Food & beverage manager dell’Hotel Principe di Savoia di Milano- Tendono a stare più attenti a ciò che spendono e hanno maggiore conoscenza della qualità dei piatti. È finito, insomma, il tempo del cameriere da maschera della commedia dell’arte, in grado, grazie alla sua simpatia, di proporre ai convitati le pietanze più costose senza badare troppo alla qualità. Oggi occorre personale preparato, capace di consigliare con competenza e professionalità”.

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I ristoranti devono assicurare standard di qualità elevati per i quali i giovani devono essere preparati: “La formazione alberghiera è la prima cosa -dichiara il presidente Reitano- al quale si deve aggiungere il lavoro sul campo, giorno per giorno”. E’ d’accordo anche Giacomo Rubini, vicepresidente vicario di Amira (www.amira-italia.it), associazione maître italiani ristoranti e alberghi: “Nonostante ciò che spesso si dice, le scuole alberghiere hanno valide professionalità al loro interno. La formazione alberghiera non è di serie B e la gavetta, poi, non è più quella di una volta: l’inserimento al lavoro è immediato”. Teoria e tanta pratica, dunque, con un occhio anche all’estero, dove l’arte dell’ospitalità è più riconosciuta che in Italia e dove spesso si incontrano a ogni livello camerieri e uomini di sala più preparati che nel nostro Paese, alla faccia del luogo comune dell’imbattibile accoglienza italiana: “È un momento in cui dobbiamo rafforzare la nostra immagine -suggerisce Reitano- All’estero l’hanno già fatto. Ma un restaurant manager italiano è sempre molto richiesto”. “All’estero ci sono degli standard molto funzionali che consentono ai colleghi stranieri di non sbagliare -aggiunge Amato- Spesso, però, il carisma manca”. Ecco perché c’è chi, come Matteo Zappile, suggerisce “formazione all’estero, ma lavoro in Italia”. Sempre, appunto, che si trovino giovani da formare, oppure la soluzione è “far crescere il personale internamente”, spiega Amato.

Forse, la strada per convincere i giovani è proprio quella di farli entrare in contatto con associazioni come Noi di sala e parlare con i protagonisti di questo mondo per sentire dalla loro parole, come quelle di Alessandro Pipero: “Noi siamo coloro che rendono vivo un ristorante, siamo la facciata della bottega e non possiamo che essere fieri di essere camerieri”. Giusta affermazione, visto che sarebbe impossibile vivere di soli chef.

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